Chi subisce un licenziamento illegittimo ha diritto a un risarcimento. Ecco a quanto ammonta e come ottenerlo
Il mondo del lavoro, in Italia, sconta una serie di problemi annosi. Innanzitutto, la sua assenza. La disoccupazione è una vera e propria piaga. Soprattutto a determinate latitudini. Non solo. Anche quando c’è, spesso, il lavoro è somministrato con condizioni difficili, che molti accettano per necessità.
Ma un’altra questione cruciale è quella che riguarda i licenziamenti illegittimi che pesano sull’economia e sul morale di chi li subisce. Ebbene, oggi sappiate che potete tutelarvi, incassando somme anche piuttosto importanti. Ecco tutto quello che c’è da sapere.
Quando un lavoratore ritiene di essere stato licenziato ingiustamente, può decidere di ricorrere a due vie: chiedere il reintegro nel proprio posto di lavoro oppure ottenere un risarcimento economico. In entrambi i casi, è essenziale avvalersi dell’assistenza di un legale per evitare errori e per orientarsi tra le complessità normative.
Molti lavoratori scelgono la strada dell’indennizzo, che spesso si traduce in un accordo con il datore di lavoro. Ma quali sono le somme a cui può aspirare un lavoratore licenziato ingiustamente? Prima di rispondere a questa domanda, è necessario chiarire quali passi debba compiere il dipendente in caso di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo.
Licenziamento illegittimo: si può essere risarciti
Innanzitutto, è fondamentale rispettare le scadenze previste dalla legge per impugnare il licenziamento. Il dipendente deve agire per iscritto entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento e successivamente, entro 180 giorni, depositare un ricorso presso il Tribunale del lavoro competente. In alternativa, può avviare una richiesta di conciliazione o arbitrato. Durante tutto il percorso, la consulenza di un avvocato è essenziale per garantire che ogni passaggio sia compiuto correttamente.
Le opzioni a disposizione del lavoratore sono due: il reintegro o il risarcimento. Quest’ultimo, più gettonato dai dipendenti, rappresenta anche la soluzione più veloce nelle trattative. Infatti, la maggior parte delle controversie viene risolta tramite accordo tra le parti, evitando così un lungo iter giudiziario.
Una volta ricevuta la notifica dell’impugnazione, il datore di lavoro può decidere di reintegrare il dipendente entro 15 giorni, pagando tutti gli stipendi arretrati. Tuttavia, le aziende preferiscono spesso evitare il reintegro, scegliendo di pagare un risarcimento. Tale somma, che può variare da un minimo di 3 a un massimo di 27 mensilità del salario di riferimento per il calcolo del TFR, deve essere offerta entro 60 giorni dal licenziamento e corrisposta tramite assegno circolare. Se il lavoratore accetta l’importo, rinuncia automaticamente all’impugnazione.
La conciliazione deve avvenire davanti a un giudice, a un sindacato o negli uffici dell’Ispettorato del Lavoro. Se, invece, si giunge a un contenzioso in tribunale, il giudice potrebbe stabilire un risarcimento più elevato, specie in casi specifici come il licenziamento discriminatorio, che prevede anche il reintegro.