I pensieri che si dissipano, la memoria che scompare, gli affetti che si dimenticano: è la tragica realtà dei malati di Alzheimer. Ma prima di arrivare a questo punto c’è un’avvisaglia a cui ben pochi prestano attenzione.
Succede tutto silenziosamente, dentro la nostra testa. I cambiamenti che si innescano nel cervello dei soggetti che sviluppano la malattia di Alzheimer precedono – e di parecchio – la fase drammatica della perdita di memoria. I segni premonitori, chiamiamoli così, possono presentarsi anche 18 anni prima del declino irreversibile. Tutto sta a saperli riconoscere per tempo. Un nuovo studio scientifico ha fatto chiarezza al riguardo.
Il fenomeno è stato indagato nell’ambito di un’ampia ricerca durata due decenni, durante i quali si è fatta luce sulla cronologia dell’accumulo di proteine tossiche nel cervello. A tutt’oggi la scienza non sa spiegare esattamente come si sviluppa l’Alzheimer. Sappiamo che uno dei segni distintivi è la presenza di proteina beta-amiloide. Ma c’è (molto) di più.
Lo studio in questione, condotto in Cina e appena pubblicato sul New England Journal of Medicine, mette in ordine cronologico i cambiamenti cerebrali che pian piano portano all’Alzheimer. Monitorando per un lungo arco temporale adulti di mezza età e anziani con scansioni cerebrali, prelievi spinali e test cognitivi, è emerso che i soggetti colpiti dalla malattia presentavano livelli più alti di diverse proteine caratteristiche dell’Alzheimer.
Nel dettaglio, i ricercatori del Centro di innovazione per i disturbi neurologici di Pechino hanno puntato i riflettori su 648 individui con diagnosi di Alzheimer e altrettanti sani. In coloro che hanno poi sviliuppato l’Alzheimer sono stati rilevati livelli anomali di beta amiloide nel liquido cerebrospinale addirittura tra 14 e 18 anni prima della diagnosi. La proteina tau fosfolidata, invece, si è fatta strada 11 anni prima e il danno neuronale aspecifico (neurofilamento) si è manifestato 9 anni prima. Con l’avanzare del tempo, naturalmente, le differenze nella dimensione del cervello e nei punteggi dei test cognitivi diventano sempre più evidenti.
Di qui l’importanza del monitoraggio dei cambiamenti che si verificano nel cervello ben prima della comparsa dei sintomi clinici. Anche in Italia medici e scienziati stanno lavorando alacremente per utilizzare i biomarcatori plasmatici allo scopo di identificare le persone a rischio di demenza. L’obiettivo è quello di definire profili di rischio e selezionare i pazienti anche per verificare se i farmaci funzionano e per chi funzionano meglio. Non dimentichiamo che con la giusta prevenzione potrebbero essere evitate 4 diagnosi di Alzheimer su 10.
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