Una nuova sentenza segna una svolta senza precedenti sul fronte dei diritti del caregiver familiare: ecco cosa cambia.
Niente più discriminazioni per il caregiver familiare. Questa figura – sempre più importante nella nostra società, con la popolazione in progressivo invecchiamento, la denatalità a tassi da record e un welfare che traballa – godrà di un significativo ampliamento delle tutele, dopo una recente ordinanza della Corte di Cassazione.
La svolta arriva con l’ordinanza interlocutoria n. 1788 del 17 gennaio scorso, con cui la Corte di cassazione ha rinviato alla Corte di giustizia europea (CGUE) l’esame di una serie di questioni riguardanti la tutela del caregiver familiare (da non confondersi con il caregiver professionale o “badante”). Vediamo nel dettaglio i punti salienti.
Il caso sotto le lenti della Cassazione
Il caso di cui si è occupata la Suprema Corte riguarda il mancato accoglimento della richiesta, avanzata da una lavoratrice nonché caregiver familiare, di un turno fisso per poter assistere il figlio minore affetto da grave disabilità nelle ore pomeridiane. Rinviando la questione ai giudici di Strasburgo, la Cassazione pone il quesito se il diritto dell’Ue debba interpretarsi, anche in base alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, nel senso dell’obbligo in capo al datore di lavoro del caregiver di adottare “accomodamenti ragionevoli” nei confronti del medesimo.
E, in caso di risposta affermativa, se la normativa antidiscriminatoria per ragioni di disabilità debba applicarsi “a qualunque soggetto appartenente alla cerchia familiare o convivente di fatto che si prenda cura, pure informalmente e in via gratuita” di un soggetto disabile grave e non autosufficiente.
Richiamandosi alla Direttiva 78/2000/CE (artt. 2 e 5) e alla sentenza “Coleman” CGUE del 17 luglio 2008, la Cassazione ribadisce la necessità che “il datore di lavoro prenda i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione”.
Ma il divieto di discriminazione diretta non è limitato alla sola persona disabile: si estende al lavoratore che l’assiste. Il principio è che il caregiver non debba essere ostacolato nel pieno esercizio delle sue funzioni assistenziali, in modo da non ostacolare la piena ed effettiva tutela del disabile stesso. In gergo si parla di “estensione della discriminazione per associazione”. Morale: il lavoratore caregiver, in ragione dei suoi doveri assistenziali, non può essere trattato in maniera sfavorevole rispetto a chi non si trova nella sua stessa situazione.