Salmoni in fuga dall’ allevamento possono mettere in serio pericolo l’ecosistema esterno. Gli ambientalisti lanciano l’allarme.
Nel mondo, gli allevamenti intensivi hanno raggiunto proporzioni stratosferiche rispetto alle tollerabili potenzialità da raggiungere sul territorio. La proporzione di tali strutture, di qualsiasi animale allevato si tratti, è dovuta alla richiesta continua di prodotti alimentari, corroborata fondamentalmente dall’Occidente, ma non bisogna dimenticare la domanda dei cosiddetti mercati emergenti.
Non è difficile prevedere che lo sviluppo di orizzonti economici ora in luce creerà un riflesso economicamente e finanziariamente redditizio per fornitori e produttori, ma essenzialmente la questione obbligherà a soffermarsi sulla reale capacità produttiva di un ecosistema sfruttato ad uso e consumo di milioni se non miliardi di consumatori al giorno e fino a quando è in grado di sopportare tale sollecitazione.
Come si è più volte visto, specie nell’ambito agricolo, l’eccesso di lavorazione del terreno condanna gradualmente il terreno stesso a impoverirsi di sali minerali, sino all’inaridimento; nelle zone più critiche, tale fenomeno sfocia nella desertificazione. Si sa anche quanto il consumo di carne nel mondo abbia indotto ad una produzione di anidride carbonica che il pianeta non riesce ad assorbire assieme alle provenienze industriali.
“Se ne stanno andando via tutti”, incidente in un allevamento di salmoni
Collateralmente, la fiorente economia – nonostante le altalenanti recessioni – di diversi Paesi in via di sviluppo, uno su tutti la Cina, ha dato la possibilità di investire in territori apparentemente privi di risorse, come in alcuni Stati africani, allo scopo di renderli produttivi quali spazi da allevamento e rispondere all’ingente domanda in arrivo da consumatori sulla via del benessere e delle calorie.
Il radicale sfruttamento di un territorio significa però di dover accettare tutti i rischi contingenti alla profonda penetrazione; ed essa è tale soprattutto se un prodotto è considerato un prodotto nazionale e tra i primati dell’esportazione. È ciò che racconta il giornale britannico The Guardian, riportando la notizia della fuga di salmoni presso il grande allevamento di proprietà della Arctic Fish, a Patreksfjordur, in Islanda.
Le acque recintate fanno parte della proprietà della grande industria norvegese Mowi. Con la fuoriuscita in massa degli animali scatta l’allarme ambientale: ora si possono manifestare tutti i rischi sull’ecosistema derivanti dall’incrocio tra pesci d’allevamento e pesci selvatici: il principale riguarda la riproduzione, in quanto la crescita precoce della prole minaccia la capacità stessa della specie di riprodursi.
L’Istituto islandese di ricerca marina e d’acqua dolce (Mri) ha registrato in molti fiumi la presenza di diversi “fuggitivi”, mentre per la Artic Fish si aprono le indagini da parte della polizia locale. L’incidente risale alla fine di agosto e non è il primo: già nel 2021, c’era stata una fuga di 81mila pesci nel 2021 presso un’altra azienda, la Arnarlax, multata l’anno scorso per la mancata segnalazione con un’ammenda di 705mila sterline.