Chi sceglie di andare in pensione con Quota 103 andrà incontro a diverse penalizzazioni. Vediamo tutto nei dettagli.
Ogni scelta comporta delle conseguenze e scegliere di accedere alla pensione anticipata con Quota 103 potrebbe avere ripercussioni negative sull’assegno previdenziale. In questo articolo vi spieghiamo cosa ha stabilito il Governo.
Quota 103 è una misura di pensione anticipata introdotta nel 2023 dal Governo di Giorgia Meloni. Questa opzione prevede il prepensionamento a soli 62 anni – anziché a 67 come stabilito dalla legge Fornero- con un requisito contributivo minimo di 41 anni. È stata introdotta per fungere da “misura ponte” nell’attesa di poter estendere a tutti i lavoratori Quota 41.
Quest’ultima misura permette di lasciare il lavoro al raggiungimento di 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica. Per il momento si rivolge solo a queste categorie:
Inoltre per poter fruire di Quota 41 è necessario aver versato almeno un anno di contributi effettivi – non figurativi – prima di aver compiuto 19 anni. Diverse persone quest’anno hanno deciso di accedere alla pensione con Quota 103 ma bisogna sapere che questa misura prevede anche delle forti penalizzazioni.
Come visto, in questo primo anno di vita, sono state tante le persone che hanno deciso di beneficiare di Quota 103 per accedere alla pensione con cinque anni di anticipo rispetto alla legge Fornero. Tuttavia, prima di fare questa scelta, bisogna valutare anche ciò che si va a perdere.
Con Quota 103 si ha l’indubbio vantaggio di andare in pensione ben 5 anni prima rispetto a quanto stabilito dalla legge Fornero. Tuttavia bisogna sapere che l’assegno previdenziale non può mai superare il quintuplo delle pensioni minime. Inoltre, se una persona, per arrotondare la pensione, decidesse di tornare a lavorare, non potrà farlo finché non avrà raggiunto 67 anni, cioè l’età per la pensione di vecchiaia ordinaria.
Il Governo Meloni ha previsto anche un’altra possibilità: fare richiesta all’Inps di prepensionamento con Quota 103 ma restare a lavoro fino a 67 anni. Questa soluzione potrebbe, di primo acchito, sembrare vantaggiosa in quanto il lavoratore dipendente- sia del pubblico sia del privato- guadagnerebbe di più. Infatti la sua parte di contributi da versare all’Inps- pari al 9% circa da cui sottrarre il cuneo fiscale in base alla fascia di reddito- gli verrebbe versata in busta paga.
Dunque una persona che, pur avendo fatto richiesta di prepensionamento con Quota 103 continuasse a lavorare, da 62 anni fino a 67 avrebbe uno stipendio più ricco. Il problema è che quel 9% di contributi che il lavoratore non dovrebbe più versare all’Inps, non verrebbero versati da nessuno. Di conseguenza, arrivato a 67 anni il dipendente si troverà con una pensione più bassa. Pertanto questa soluzione è vantaggiosa solo in apparenza ma sul lungo periodo comporta solo svantaggi per i lavoratori.
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