Dicono che i soldi non fanno la felicità, ma di sicuro allungano la vita. L’incredibile report che dimostra quanto appena detto.
I manager hanno un’aspettativa di vita più lunga rispetto agli operai, ma vanno in pensione in media più tardi. Quale categoria sociale trascorre più tempo in pensione? Si osservano differenze tra uomini e donne? Che ruolo giocano le carriere e i sistemi pensionistici? Per rispondere a queste domande si è misurata l’aspettativa di vita delle categorie socio-professionali a diverse età, e in particolare in prossimità dell’età pensionabile.
Le disuguaglianze sociali di fronte alla morte svolgono un ruolo importante nei dibattiti sull’età pensionabile, perché portano a differenze nelle possibilità di raggiungere questa età e nella durata del tempo trascorso in pensione. Esistono anche differenze tra i gruppi sociali negli status di (in)attività mantenuti nel corso della carriera, in parte prese in considerazione dai meccanismi di solidarietà del sistema pensionistico.
La durata dell’occupazione, dell’inattività e della disoccupazione è importante perché determina non solo l’ammissibilità dei diritti pensionistici, ma anche l’importo delle pensioni che verrà erogato.
I soldi non fanno la felicità, ma allungano la vita
Dai dati sulla mortalità vengono calcolate e analizzate le aspettative di vita alle diverse età. Tali anni di vita vengono poi distribuiti tra gli stati di attività (occupazione e disoccupazione) e di inattività (pensione, domicilio, altro motivo) che le persone dichiaravano al momento del censimento. Questi indicatori “a breve termine” descrivono le situazioni professionali medie in relazione alle diverse età per il periodo studiato, intorno al 2018.
I dirigenti maschi vivono in media 6 anni in più rispetto ai lavoratori. L’aspettativa di vita dei dirigenti supera quella degli operai di 5 anni e 8 mesi per gli uomini e di 3 anni e 5 mesi per le donne. L’aspettativa di vita degli impiegati è appena superiore a quella degli operai. Tra le donne, i lavoratori autonomi hanno un’aspettativa di vita inferiore rispetto alle professioni intermedie; per gli uomini, è il contrario.
A proposito di soldi e felicità: due recenti premi Nobel per l’economia, Daniel Kahneman e Angus Deaton, hanno dimostrato una correlazione tra aumento del reddito e maggiore felicità, ma solo fino a una certa soglia, quella di un reddito medio annuo fissato a 75.000 dollari (circa 61.300 euro). Secondo loro, qualsiasi reddito superiore a questo limite non ha più realmente un impatto significativo sulla felicità di una persona, perché a questo livello di reddito ci si è già abituati a beneficiare di una certa comodità finanziaria e ogni ulteriore aumento di stipendio porta quindi solo ad aggiustamenti minimi al suo stile di vita.