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La televisione, un elettrodomestico imprescindibile nelle nostre case da oltre mezzo secolo, svolge un ruolo fondamentale nell’intrattenimento e nell’informazione. In Italia, la diffusione e l’influenza di questo dispositivo sono così radicate che ha contribuito a ridefinire il concetto stesso di “focolare” domestico. Tuttavia, la televisione non è completa senza gli strumenti tecnici necessari, e in questo ambito si presenta una situazione diversa da quella legale.
Il Canone Rai, erroneamente utilizzato come termine generico per indicare il sistema di tasse televisive, è un aspetto controverso ma ritenuto utile dal punto di vista del servizio pubblico offerto. Ma quanto costa il Canone Rai oggi e, soprattutto, sarà confermato in futuro?
Pochi argomenti sono così universalmente discussi e criticati dagli italiani come il contributo televisivo, considerato ingiusto concettualmente e talvolta fastidioso. Il servizio pubblico televisivo in Italia ha avuto inizio oltre 70 anni fa con lo sviluppo della Rai (da cui deriva l’associazione con il termine “Canone Rai”), ma nonostante il tempo trascorso, continua a essere oggetto di dibattito e a faticare ad essere accettato come un obbligo culturale effettivo.
Il Canone Rai è spesso oggetto di critiche non tanto per il suo costo effettivo, che è rimasto pressoché invariato negli ultimi anni e addirittura diminuito rispetto al decennio precedente, ma piuttosto a causa di un diffuso ostracismo nei confronti dell’idea stessa di dover pagare per un servizio che molti considerano dovrebbe essere gratuito, almeno idealmente.
Tuttavia, non tutti sanno che l’origine di questa tassazione risale addirittura al 1936, molto prima della diffusione delle televisioni nelle case degli italiani. A quel tempo, venne introdotto un sistema di tassazione basato sul possesso di radio private attraverso un editto reale, che subì solo parziali modifiche con la nascita della Repubblica Italiana dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Con l’avvento del “boom economico” si sviluppò il Canone Rai, il quale ha visto un incremento del suo importo nel corso degli anni, differenziandosi anche in base all’avanzamento tecnologico. Fino agli anni ’80, infatti, la popolazione italiana era obbligata a pagare il Canone per la televisione in bianco e nero o quello per l’apparecchio a colori, quest’ultimo con un costo sensibilmente più elevato.
Il Canone Rai è stato concepito come un obbligo di pagamento basato sul possesso effettivo di questo importante strumento, e non sull’utilizzo. In pratica, si tratta di una tassa fissa che dal 2016 in poi ammonta a 90 euro all’anno per ogni nucleo familiare residente nel nostro paese, dilazionati in 10 rate da 9 euro ciascuna, associate alla fatturazione della bolletta della luce. Ciò serve a due principali motivazioni: da un lato, rende più accettabile il pagamento dilazionato per molti italiani, mentre dall’altro mira a far comprendere alla popolazione l’importanza di finanziare adeguatamente il servizio pubblico, che secondo i suoi sostenitori risulta essere sottofinanziato.
L’opposizione alla tassazione televisiva è un argomento ampiamente dibattuto, con molti che contestano la sua necessità. Mentre in diverse nazioni questa forma di tassazione è stata abbandonata, paesi culturalmente simili come la Francia e la Germania la mantengono, sebbene con importi quasi doppi o addirittura tripli rispetto all’Italia, tenendo conto delle differenze economiche.
Da diversi anni, diverse correnti, comprese quelle politiche, hanno sostenuto l’abolizione del Canone Rai, proponendo che possa essere incluso in altre forme di imposte o finanziato attraverso la pubblicità, rendendo così esentati la maggior parte dei contribuenti. Anche l’attuale classe dirigente ha espresso più volte la volontà di abbandonare questa forma di tassazione, seppur con possibili fini elettorali. Ad esempio, il segretario della Lega, Matteo Salvini, oggi Ministro dei Trasporti, ha annunciato la volontà di rimuovere completamente il Canone Rai. Tuttavia, il Ministro del Lavoro ha confermato all’inizio dell’anno la sua permanenza, e l’intero governo ha in pratica riapplicato il vecchio sistema descritto in precedenza. Nonostante la scarsa popolarità, tale sistema ha consentito una tassazione significativa rispetto al passato, anche se solo un terzo circa dei contribuenti paga regolarmente l’importo dovuto.
Il Canone Rai risulta essere una delle imposte più evase nella storia italiana, sia a causa di un certo astio nei confronti di tale tassazione, sia per le difficoltà nell’imporsi e far rispettare le sanzioni, che, essendo una tassa regolare, sono gestite e generate dall’Agenzia delle Entrate.
Molti potrebbero trovare strano, ma sono previste diverse forme di “punizioni” per coloro che decidono di non pagare il Canone Rai, ad esempio limitandosi a saldare solo l’importo della bolletta elettrica. Di solito, viene applicato un sovrapprezzo aggiuntivo che varia da 2 a 6 volte l’importo annuale (che comunque deve essere pagato), quindi da 180 a 540 euro. Inoltre, viene generata una cartella di pagamento che dà inizio alla procedura di recupero crediti, sebbene tale eventualità sia piuttosto remota poiché ancora oggi circa il 65% della popolazione che possiede una televisione regolarmente paga questa imposta.
Esistono anche esenzioni che tengono conto di specifiche circostanze. Infatti, possono richiedere l’esenzione le seguenti categorie:
In tutti i casi, l’esenzione non è automatica, ma deve essere richiesta una volta all’anno tramite un’apposita domanda fornita dall’Agenzia delle Entrate. Attraverso il link fornito è possibile accedere a tutta la modulistica necessaria per effettuare la richiesta.
La domanda può essere presentata esclusivamente online tramite un Caf/Patronato abilitato o direttamente dal sito web dell’Agenzia delle Entrate, utilizzando un’identificazione come lo SPID o la Carta d’Identità Elettronica. Il modulo compilato e firmato deve essere associato e inviato tramite il portale.
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